Lulù Nuti si rapporta alla materia con grande sensibilità. Le sue sculture, sebbene realizzate con materiali industriali e di scarto provenienti da precedenti progetti, non si pongono in contrasto con il corpo, bensì ne rispecchiano gli impulsi. I suoi lavori non sono il trionfo sulla materia, ma una prova di coesistenza con essa; sono anche però le tracce materiali di catastrofi personali e collettive. Dai corpi celesti in gesso fino ai disegni d’infanzia immersi nel cemento – nelle sue sculture il tempo e la memoria non procedono come un racconto lineare, ma come qualcosa che ritorna di continuo ad influenzare il presente.
I dipinti di Karolina Szwed sono velati come i ricordi dell’infanzia, quando il mondo era troppo grande e per niente scontato. Cercano di afferrare ricordi fugaci, che cominciano a diluirsi e cambiare di significato. La pittrice si serve dell’ironia come meccanismo di difesa, come modo per alleggerire un’eccessiva serietà e costruire una distanza dalla forza drammatica. Evita l’univocità, ed in cambio propone dipinti essenziali, lontani dal decorativismo.
Le artiste raccontano quell’esperienza che possiamo indicare con la parola inglese girlhood. Per Nuti e Szwed si tratta di molto più di una semplice tappa della vita – è un continuo negoziare la propria identità a fronte di convenzioni sociali, norme oppressive e narrative dominanti. Nei loro lavori ritorna il tema della forza della debolezza – concetto che capovolge la vecchia narrativa su ciò che occorra mostrare per essere adeguati. La riflessione sul concetto di forza, che al giorno d’oggi bisogna non solo avere, ma anche saper vendere, porta a interrogarsi su come salvare l’autenticità del proprio sentire, prima che sia assorbita dalla logica della produttività e del successo.
Curatrice della mostra è Katarzyna Piskorz.